“Cari operatori, abbiamo bisogno di voi tutti e di lavorare insieme, perché questo è l’unico modo per fare qualcosa di concreto per i nostri ospiti. Dobbiamo ripartire da qui, incontrarci in equipe, confrontarci e progettare come migliorare il nostro lavoro, sederci tutti allo stesso tavolo, dal direttore della struttura a chi fa le pulizie. Non siamo una fabbrica, lavoriamo con delle persone, oltretutto fragili. Il nostro lavoro va rivalutato, chi lo svolge deve sentirsi valorizzato sia dal punto di vista del trattamento economico che della gratificazione umana e professionale. È l’unico modo per tornare ad essere attrattivi e trovare una soluzione alla carenza di figure professionali per la cura della persona anziana”. Questo, in estrema sintesi, il contenuto dell’intervento con cui il presidente dell’Associazione provinciale cuneese Case di Riposo pubbliche e private, Silvio Invernelli, ha aperto il convegno-evento “I professionisti della Cura alla persona anziana: identità in evoluzione”, organizzato in collaborazione con l’Editrice Dapero venerdì scorso – 27 settembre, ndr – al Centro Incontri della Provincia di Cuneo, a cui hanno preso parte circa 200 tra operatori sanitari, infermieri, medici, fisioterapisti, psicologici, educatori, etc.
Tra le lacune dell’ordinamento generale delle professioni di cura della persona anziana emerse nel corso dell’intesa giornata di lavoro, un ruolo centrale è risultato quello occupato dalla formazione, ambito che sempre più spesso è stato relegato ai soli obblighi di legge, dimenticando come in realtà debba essere un investimento strategico i cui frutti rimarranno nel tempo. È così non solo per chi già lavora in questo settore, ma ancor prima per chi si prepara a farlo sui banchi di scuola.
“Dalle ricerche fatte e dalle evidenze dei fatti – continua Invernelli – ci siamo accorti come occorra rivedere i criteri di programmazione dei percorsi formativi prevedendo anche delle forme di sperimentazione. La Regione Piemonte è già intervenuta in questa direzione con la DGR 4, che permette di far lavorare anche operatori non qualificati purché si impegnino a riqualificarsi, ma questo non è sufficiente. Ad esempio, sarebbe auspicabile un maggiore coinvolgimento degli istituti professionali per operatori sociali in percorsi integrativi per formare giovani leve di nuovi Operatori socio sanitari, cosicché dopo i cinque anni di scuola superiore chi non accede all’università può fare un percorso di 200 ore tramite un’agenzia formativa che integri le materie che non sono state studiate e si diventi Oss. Con la Regione poi occorre che si dia avvio alla riforma della DGR 45, affinché si pensino nuovi servizi, nuove risposte ai bisogno dei nostri anziani”.
La necessità di reclutare nuovo personale per le professioni di cura, ha la sua cartina di tornasole nella scarsa affluenza di candidati ai concorsi per diventare infermieri e Oss, tanto da non rendere più neppure necessario avere un numero chiuso. Un dato controtendenza rispetto all’andamento di qualche anno fa, che trova la sua duplice motivazione da una parte nelle poche possibilità di carriera e di miglioramento retributivo, dall’altra nella scarsa gratificazione da parte della società.
“Uno degli scopi del convegno era quello di far emergere il bello del lavoro di cura e il fatto che i partecipanti siano stati in sala fino alla fine ci fa pensare che abbiamo colto nel segno – conclude Invernelli -. Dobbiamo fare un’altra narrazione delle nostre residenze per anziani, dobbiamo valorizzare gli operatori che si dedicano a questo difficile e gratificante lavoro. Da parte nostra se rivalutiamo queste figure diventeranno attrattive, altrimenti ce ne saranno sempre di meno”.